GERARDO PULLI, l’intervista al vincitore di AMICI: «Vorrei scrivere una canzone per Emma»

A poche ore dal trionfo all’Arena di Verona, Gerardo Pulli, il vincitore di «Amici», si racconta a Sorrisi. Lo incontriamo a margine della conferenza stampa di mezzogiorno. Dopo otto mesi di «reclusione» nella scuola televisiva dei talenti, il 20enne torinese riallaccia i suoi contatti con il mondo. Martedì esce il suo primo album, «Gerardo Pulli», è prodotto da Mara Maionchi e contiene sette brani che lui, il giovane cantautore, ha composto di suo pugno, e sostenuto con piglio e tenacia, e qualche lacrima, contro tutto e tutti, anche contro chi gli diceva che non era portato per questo mestiere.
Hanno detto: «Ha vinto il cantante senza voce».
«Penso sia stata la rottura di un muro molto importante, un talent come Amici può permettere a tanti ragazzi che lavorano in questo campo e fanno musica a provarci. Tutti possono farcela. Io lo interpreto così».
Un cantautore su che cosa deve puntare?
«Su se stesso, devi spogliarti completamente e concederti e a volte scendere a compromessi».
Partecipare ad «Amici» è stato un compromesso?
«All’inizio lo era, poi è diventato un piacere, per me è diventata come una casa, piena di grandi professionisti, dagli autori a Maria De Filippi, menti invidiabili».
Cosa hai fatto prima di «Amici»?
«Avevo mandato delle cassette e delle mail alle case discografiche, ma nessuno mi aveva risposto. Ho mandato delle mie cose a Francesco Facchinetti, a Diego Calvetti, anche a Magalli, nessuna risposta».
Com’è che sei arrivato ad «Amici»?
«Avevo una voglia di emergere spietata, io non guardo la televisione, giravo canale e ogni tanto guardavo Amici, così come X Factor e Sanremo, ma Amici è stato il primo talent show al quale ho fatto domanda per i provini».
Grazia Di Michele ha sempre detto che non sai cantare e non ti voleva nella scuola.
«Non trovo che per fare musica bisogna avere uno strumento vocale di chissà quali potenzialità, sì può essere uno strumento in più, ma ci sono tanti aspetti diversi, penso a Lorenzo Jovanotti, sono convinto che anche De Andrè se nascesse oggi farebbe molta più fatica».
Pensi di studiare canto in futuro o continuare solo a comporre?
«Io scrivo, sono autodidatta sia nei testi che nella chitarra, ho imparato a suonare per noia».
Cosa ti annoiava?
«Facevo la scuola media e c’era lo strumento di base da suonare, era il flauto o la chitarra, io non avevo tante persone con cui parlare e me ne stavo parecchio in camera mia, poi mi sono messo a suonare la chitarra e fin dal primo momento ho iniziato a scrivere, non ho cantato le canzoni degli altri».
La prima cosa che hai scritto?
«S’intitolava “Ti voglio bene”, ecco, già subito aveva un messaggio, quella frase era molto più forte di un semplice “tvb”. Io ti voglio bene non lo dico a nessuno, eccetto due, tre persone».
A chi dici «ti voglio bene»?
«Ai miei genitori, a mia sorella e a Valeria».
È vero che hai scritto oltre 40 canzoni?
«Ne ho scritte 180, poi quelle che sono piaciute a chi le ha sentite sono trenta, quaranta».
Finora chi le ha sentite?
«Le persone con cui ho lavorato in questi mesi, io sono un rompiballe, rincorrevo tutti per far sentire i miei pezzi, le mie cose».
Come componi, di getto o con fatica?
«Dipende, a volte le canzoni escono dal nulla, a volta ci vuole più tempo, comunque le cose più ragionate son quelle che escono più brutte».
Di cosa parlano i testi delle tue canzoni?
«Io sono ossessionato dalla società da come è strutturata, dalle mancanze, dalle finte libertà e più o meno nelle canzoni si sente questa cosa. Una canzone, “Scacco matto”, parla della lotta contro se stessi, parla di una persona che gioca a scacchi con se stesso e riesce a perdere».
Quando hai scritto «Io sono ai Tropici»?
«L’ho scritta nel 2010, il giorno che al Festival di Sanremo l’orchestra ha lanciato gli spartiti sul palco per protestare per l’eliminazione di Malika Ayane, avevo la febbre a 40».
Canti: «Il mondo va a rotoli/ e questi colletti bianchi son dei comici».
«Parlo della burocrazia ma in realtà è una metafora per dire che non capisco e non accetto delle situazioni che ci sono oggi».
Mai stato ai Tropici?
«Ai Tropici nella mia testa, non ci devi andare fisicamente».
Il viaggio più lungo mai fatto?
«Mille chilometri, da Torino a Crotone».
Al provino di «Amici» quante chance ti davi?
«Non ci pensavo proprio e ogni volta che mi richiamavano ero un po’ incredulo, andavo lì solo per far ascoltare la canzone».
E una volta entrato nella scuola, quante chance ti davi di vincere?
«Nesssuna, fino all’ultimo ero convinto che vincesse Ottavio».
A un certo punto hai pensato di mollare la scuola. Cosa ti ha fatto restare?
«Arrivavo a Roma con il treno alle sei del mattino e aspettavo fuori dagli studi tre ore per entrare, mi sono detto: ho fatto tutto questo e me ne vado adesso? Pensavo alla mia musica, volevo farla ascoltare agli altri, è stato un atto di protezione nei confronti della mia musica».
Hanno parlato di «pullismo». il cantautore che gioca a fare il maledetto…
«Sono solo uno che vuole essere ascoltato, io non vivo per dar fastido agli altri. Sono una persona che pensa tanto, ho trascorso parecchi anni nella solitudine, non avevo amici, ero considerato lo sfigato della classe».
Come vedi i tuoi coetanei?
«C’è tanta pigrizia tra i giovani, ma nasce dal fatto che il giovane si sente ignorato, lasciato da parte, e che il lavoro è difficilissimo da trovare. Ho amici che fanno l’Università a Torino e non hanno dato un esame, dicono: “Tanto a che serve, tanto se prendo la laurea poi che ci faccio?”. Io penso che i giovani devono svegliarsi».
Chi ti piace degli altri «Amici»?
«Dei big trovo in Emma una forza della natura, mi piacerebbe scrivere per lei una canzone. Dei miei compagni se devo optare per l’autorato scelgo Stefano Marletta, per l’interpretazione Valeria, ha delle originalità molto particolari».

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