Brindisi, parla il fidanzato di Melissa: “Angelo mio ti prometto che studierò”


ESCLUSIVO – Ecco l’intervista che Mario De Nitto, fidanzato di Melissa Bassi, la ragaza morta nell’attentato davanti alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi, ha rilasciato a Oggi.it.

Il giorno prima dell’attentato che la ucciderà, Melissa Bassi era più ottimista del solito. Un impercettibile, ma importante cambiamento era intervenuto nella sua spensierata vita di sedicenne dal carattere generoso. Si era decisa a togliere gli occhiali. Aveva messo le lenti a contatto. E la cosa la gratificava. Le sembrava perfino di vedere meglio. Ed era ancora più bella di quanto fosse già. Mario, il suo piccolo grande amore con cui sarebbe uscita la sera dopo, avrebbe apprezzato? L’avrebbe amata anche di più? Domande di adolescente. Di un’età in cui agli affetti chiedi molto. E prendi molto seriamente la vita. E mai penseresti di poter morire così, in una manciata di attimi. Davanti alla scuola di Brindisi che frequenti con profitto. E intitolata a Francesca Morvillo Falcone, la moglie del giudice ammazzato a Capaci vent’anni fa. Il diciassettenne Mario De Nitto, la sua Melissa in realtà non avrebbe potuto amarla di più. Lo capisci al primo sguardo. Non stacca un attimo la testa dal minuscolo computer dove l’immagine della sua “Meli” campeggia luminosa. La ragazza, i lunghi capelli rosso tiziano, lo abbraccia e gli sorride alzando gli occhi: il suo Mario è un tale spilungone… E lei è piccolina, nonostante i tacconi alla moda, sotto i jeans.

«PICCOLE’, TORNA TI PREGO» – «Questa è la foto che Melissa prediligeva: l’aveva sul cellulare», dice Mario De Nitto, nella camera da letto della sua abitazione di Mesagne, nel Brindisino, a poche centinaia di metri da quella giallo-ocra della sua fidanzata. Quasi vicini di casa, i due ragazzi inizialmente si erano scambiati l’amicizia via Facebook, qualche mese fa. Fu Melissa a chiedere a Mario di fare sul serio: «Voglio parlarti a voce e guardarti negli occhi», gli disse, «basta Internet: vediamoci». Così si fidanzarono, il 10 marzo scorso: Mario quella data l’ha diligentemente annotata nel suo diario virtuale. «Non potrò mai dimenticare quel giorno: fu quando a Melissa diedi il primo bacio, nei giardini della villa comunale. “Dio è grande”, pensai quando mi resi conto che ero il suo primo ragazzo. Io avevo avuto un’altra storia importante, durata due anni. Ma ammetto che, quando ancora stavo con l’altra fidanzata, incontrai Melissa a una festa di compleanno e ne rimasi colpito. Comunque, prima di avvicinare le labbra la prima volta, le chiesi il permesso. “Sediamoci”, le dissi, indicando una panchina. “Devo dirti una cosa. Ti va di essere la mia ragazza?”». Mario ha sul muro dietro la scrivania un quadretto con due bambini che giocano a fare gli innamorati: lui le porge una margherita, lei si ritrae timida. Sembrano due creature di Peynet: e ti manca il fiato se esci da questa nuvola di dolcezza e pensi a quello che è successo a Melissa solo 15 chilometri lontano da questa stanza, davanti a una scuola. Mario fa scorrere le tante immagini di “Meli”. Il profilo Facebook della ragazza ha più di 800 foto. In due anni di attività online, la socievole sedicenne ha contato 898 amici. Più tre sorelle virtuali. Una di loro adesso le chiede: «Piccolè, E ORA DOVE SEI? Torna, ti prego. Ci sei sempre stata. Nei momenti brutti, ti ho sempre avuto vicino».


«A SCUOLA ERA MOLTO PIù BRAVA DI ME» – Che insieme di contrasti, la cameretta di Mario. Da una parte computer e telefonino multiaccessoriato, dall’altra statuine e logore immagini di San Pio da Pietrelcina. San Giovanni Rotondo non è lontano di qui. Ed ecco anche uno scudetto bianconero: Mario è juventino e gioca nella squadra locale, nel ruolo di difensore. Studia all’Armando Franco, in un istituto privato serale dove si formano operatori dei servizi sociali. Anche Melissa all’istituto Morvillo Falcone seguiva l’indirizzo psicopedagogico: voleva diventare maestra d’asilo, o assistente per anziani. Melissa e Mario condividevano la sensibilità per i più deboli. Sarà che avevano in comune la solitaria condizione di figli unici. Ma si sentivano la vocazione di figli maggiori. «Ma lei era molto più brava di me», puntualizza Mario. «Io a scuola mi annoio. Lei invece era la più preparata della sua classe: la terza A. Le compagne di corso le volevano bene. Ma spesso la invidiavano. Era perfino troppo perfetta. Non fumava. Non beveva. I compiti sempre fatti. I voti alti. Era capace di disegnare vestiti: aveva l’hobby della moda. Le unghie e i capelli sempre curati. La mattina era sempre la prima ad arrivare, con l’autobus pendolari da Mesagne. L’autobus da cui è scesa prima di saltare in aria. Le dicevo: “Meli, non mi va di studiare: preferisco il pallone, la moto…”. Lei mi rimproverava: “Sono contenta che ti diverti. Ma studiare è la prima cosa. Serve a costruirti un futuro. Devi applicarti di più!”. Poi sdrammatizzava. “Sei permaloso, ti arrabbi con niente”, mi diceva, quando mi rabbuiavo. Mi chiamava Bambino. Oppure Cucciolo”».

«ADDIO AMORE MIO»Mario si interrompe. Completa la scritta a pennarello su un telone bianco: in seguito lo appenderà al balcone della casa della fidanzata. «Con te, Melissa, avevo trovato pace e una serenità che è svanita al primo gradino di una scala immensa chiamata vita!», c’è scritto. “Addio amore mio. Adesso ti lascio tra gli angeli. Il tuo Cucciolo”. Se Mario era Cucciolo, Melissa era Punto. Così l’aveva ribattezzata il suo innamorato. Punto si chiamava il gatto della ragazza uccisa. E che Melissa adorava. Punto era il punto fermo di Mario. Un’àncora agganciata a un’esistenza sparita. «Proverò a trovare un senso: studiando come un ciuco», giura adesso il diciassettenne. «Le avevo promesso che un giorno, a scuola, mi sarei applicato di più. Vuol dire che adesso lo farò. Studierò. Studierò fino a spaccarmi la testa».

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