Parlano le nuove Veline Shaila Gatta e Mikaela Neaze Silva: “Sicuri di conoscerci?”




I tuoi genitori come ti hanno protetta? «Mi hanno mandato a studiare a Napoli, lontano da compagnie pericolose. A 16 anni mi sono ritrovata a Roma, studiavo al liceo linguistico e prendevo lezioni di danza. È stata dura, ero giovane e ho patito la solitudine».
È stata una scelta difficile? «Hanno fatto grandi sacrifici. In famiglia non c’erano tanti soldi. Mio padre è autista di ambulanze. Mia madre fa la sarta a casa. Io non ho mai avuto un capo firmato, ancora adesso faccio shopping al mercato. Sono stata abituata così. I miei mi dicevano: “Preferisci che i soldi li investiamo nel tuo futuro o per comprarti una maglietta?”».
Come hai affrontato il provino per Striscia? «Né io né Mikaela sapevamo che il casting fosse per Striscia. L’unica informazione che avevamo era che cercavano ballerine per un programma Mediaset. Ovviamente quando lo abbiamo scoperto è stata una sorpresa bellissima. Io avevo già lavorato a Ciao DarwinZelig e avevo partecipato al reality Amici».
Vai d’accordo con Mikaela? «Ci siamo piaciute subito. Sono sicura che ci avessero già presentato qualche anno fa, a una festa, ma lei non se lo ricorda. In ogni caso fin dai provini abbiamo iniziato a chiacchierare. È una ragazza solida e forte, e ora abitiamo sullo stesso pianerottolo».
Cosa ti fa arrabbiare? «I miei coetanei che sono villani con i genitori. Non lo sopporto. Anche io ho avuto dei momenti di lite, soprattutto con mio padre che non voleva puntassi tutto sulla danza, ma so che quando discuto con loro non posso travalicare un limite. Se solo provassi a mandarla a quel paese, credo che mia mamma mi inseguirebbe per tutta Napoli».
Chi raccomanderesti al Gabibbo per fargli avere velocemente un bel tapiro? «Credo che Donald Trump un tapiro se lo meriti tutto».
MIKAELA, LA GIRAMONDO NATA PER BALLARE - Quando Mikaela racconta, è meglio avere un mappamondo a portata di mano. La mamma è afghana. Il papà angolano. Lei è nata a Mosca. Quand’era piccola l’hanno portata in Africa. Nel 2000 è approdata a Genova con madre e sorellina. E, per non smentirsi, s’è scelta il fidanzato durante un soggiorno di tre anni in Cina. È un ragazzo francomarocchino che studia e fa il dj a Shanghai. «Gli devo tanto», dice. «Ha capito che in Cina non ero felice e mi ha spinto a tornare. Avevo paura di perderlo. E invece l’amore resiste».
Ma lui ha capito cos’è successo? Ha capito di essere il fidanzato della velina bionda? «Mi sa di no. Anch’io mi sento catapultata in un mondo nuovo. Si lavora tanto. E ogni volta che entro in studio è un’emozione fortissima. È stupendo, ma esco distrutta».
In effetti, non vi risparmiate. Avete fatto vedere cose che noi umani… «Per la prima volta hanno preso ballerine professioniste. Ma muoversi sul bancone coi tacchi è dura anche per noi. Quando poi si mettono di mezzo Greggio e Iacchetti c’è da ridere. Ecco, si ride tanto. C’è un affiatamento incredibile. Come una famiglia».
Come va con Shaila, la velina mora? «Benissimo. È bella, determinata, ha la dolcezza della gente del Sud. E, beata lei, si piace tantissimo».
Dove sono avvenuti i primi passi da velina? «In Angola, avevo cinque anni, andavo per strada, c’era la musica, la gente ballava e io mi buttavo in mezzo. Tutti mi applaudivano e mi hanno subito preso allo stadio per ballare prima delle partite. È cominciato lì».
Cos’è rimasto di quei momenti? «Tutto. In Italia ho frequentato scuole di moderna, classica e Hip Hop. La mia passione per il ballo non ha confini».
Cosa vuol dire? «Che ho assorbito ritmi e tradizioni da tutti i Paesi dove sono stata».
Anche dall’Italia? «Soprattutto dall’Italia. È il Paese che mi ha dato di più».
Cosa in particolare? «Eravamo in Angola, mamma e papà, che poi è mancato, non andavano più d’accordo ed eravamo senza una lira. Una coppia di italiani prima ha trovato lavoro a mia madre, poi ci hanno portate tutte a Genova. Era dura, soldi per i vestiti o anche solo per un ovetto di cioccolato non ce n’erano. Ma loro ci sono sempre stati, ci hanno fatto sentire parte della loro famiglia. Senza di loro non potrei essere qui. In casa sono l’unica a non avere ancora il passaporto italiano. Ma questo è il mio Paese. E guai a chi me lo tocca».
Mai un problema? «Sì, qualche cattiveria c’è stata. All’inizio ci soffri. Poi capisci che è solo ignoranza. Per il resto, Genova era una bellezza di città. In strada o nei negozi la gente ti salutava, ti sorrideva, ti faceva le feste». Adesso non è più così? «Guerre, soldi che non ci sono, paura dell’immigrazione. La gente è più diffidente. Non gliene faccio una colpa. La faccio ai politici che affrontano certi temi in modo indecente».
Una nomination per il tapiro? «A Salvini».

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