Torre Annunziata. «Abbiamo sbagliato a fittare quella villa, è stato un errore dovuta all’inesperienza». A tre mesi dall’arresto di tre esponenti del clan Gallo-Pisielli per la presunta estorsione alla troupe che girò alcune scene della fortunata serie tv «Gomorra» all’interno della villa del boss a Torre Annunziata, ieri mattina si è tornato a parlare della questione «casa Savastano».
A discutere, davanti ad una platea di giovanissimi, è stato Riccardo Tozzi, presidente della casa cinematografica Cattleya e produttore della serie andata in onda su Sky, durante il primo incontro di «A mano disarmata» che si è tenuto al liceo Dante Alighieri di Roma. «Ci siamo trovati a girare in una realtà del tutto particolare – ha ammesso Tozzi – dove probabilmente altre produzioni avrebbero lasciato perdere. Lavorare a Napoli, se non si conosce la realtà totalmente diversa dal resto d’Italia, è pressoché impossibile. Basti pensare alla difficoltà nel trovare le diverse location a causa di affittuari spesso collusi con la malavita».
La Cattleya si era affidata ad un location manager napoletano, Gennaro Aquino, che scelto come set ideale per casa Savastano l’abitazione di Francesco Gallo alias «Francuccio ‘o Pisiello», boss dell’omonima frangia del clan di Torre Annunziata, che ha la sua roccaforte nel Parco Penniniello, rione di palazzine popolari tra via Plinio e via Settetermini, crocevia dello spaccio di stupefacenti. Il tutto era avvenuto nel marzo 2013, quando la Cattleya aveva siglato un regolare contratto di fitto da 30mila euro per girare alcune scene importanti all’interno della villa.
Cinque rate da 6mila euro l’una sarebbero state versate nelle casse del boss, che in cambio prestava alla produzione cinematografica la sua lussuosissima abitazione, piena di mobili laccati in oro, pavimenti griffati, tv incorniciati e vasca idromassaggio a otto posti. Poche le condizioni: prima rata anticipata e panini forniti dalla sorella.
Un mese dopo, nell’ambito dell’operazione «Mano Nera» (siamo al 4 aprile 2013), con 12mila euro già incassati, arrivarono l’arresto di Francesco Gallo e il conseguente sequestro dell’abitazione, con utilizzo lasciato ai tre figli minorenni del boss (che tuttora ci abitano con una zia).
La gestione dell’immobile, però, fu affidata ad un amministratore giudiziario, che ha percepito il restante affitto. Parallelamente – e arriviamo alle indagini dei carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata – il boss Gallo, dal carcere, aveva chiesto a sua madre Annunziata De Simone di «pretendere» i soldi dell’affitto, in nero, a parte. Secondo la ricostruzione della Dda di Napoli, almeno una rata da 6mila euro sarebbe stata versata nelle mani di Raffaele Gallo, alias «zì Filuccio», padre del boss Francesco.
I tre finirono in manette il 17 luglio con l’accusa di estorsione e ora sono attesi dal processo con rito abbreviato fissato a novembre. «Abbreviato condizionato» fa sapere il loro legale, l’avvocato Mauro Porcelli, che ha chiesto l’escussione dei soli responsabili di Cattleya che sarebbero stati minacciati. Intanto, la villa è in attesa del dissequestro definitivo disposto dal gip Umberto Lucarelli nell’ambito del processo «Mano Nera» che ha portato alla condanna di Francesco Gallo a 18 anni.
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