Giorgia Surina: «Il mio matrimonio da 10 e lode con Nicolas»

Ad averla avuta davanti a occhi chiusi, mentre nel suo buio forzava il passato, e tornava a quando all’asilo l’insegnante Adele le toglieva i pastelli di mano per accompagnarla a un «pisolino pomeridiano» che mal subiva, lo avreste pensato anche voi, che a Freud va ancora riconosciuta una gran bella ragione, per essere arrivato alla conclusione che non c’è niente da fare: ognuno di noi, da adulto, convive con il bambino che è stato. 
Giorgia Surina, allora, se qualcosa non voleva era dormire. Lei desiderava continuare a disegnare. I compagni, gli altri, tutti, nella penombra scomparivano dentro i cuscini, e lei se ne stava lì, costretta in un’insofferenza calma, su una brandina scricchiolante, a guardare il pulviscolo che la luce faceva nell’aria, entrando dalla finestra socchiusa in fondo alla stanza. Vigile. 

Proprio com’è quando ci incontriamo a Taormina al bar sulla spiaggia del resort che la ospita – il mare di fronte, la ferrovia che passa nel verde e nelle bouganville, dietro – e lei, qui per una lezione di cinema sul «successo a 20 anni», mette alle domande sul marito, Nicolas Vaporidis, un confine: «A settembre sarà un anno che siamo sposati, ed è come se avessi preso un dieci e lode. Da dire non c’è molto altro». 

Non le piace che di loro si parli a lungo. Per una comprensibile «forma di protezione». Intorno a noi, il bianco: del suo vestito di cotone da mattino, degli ombrelloni che ci riparano, dell’orzata sul tavolo a fianco, dello yogurt che ha ordinato e lasciato lì. È la sua colazione. 
Com’è arrivato Nicolas? 
«Assieme a un copione. Quello di Sei passi nel giallo. C’era anche lui, nel cast. Si girava a Malta. All’inizio non mi era simpatico. Forse anche perché, dopo essermi scottata, l’amore che sarebbe venuto me l’ero costruito a tavolino. I paletti erano: “Mai con un attore, mai con un romano, mai con uno più piccolo di me, mai con un Capricorno”. E Nicolas li buttava giù tutti». 
E allora? 
«Primo ciak, lui è un serial killer che mi deve sgozzare, io un ispettore di polizia legata a un tavolaccio di legno in un sotterraneo scuro, freddo e puzzolente, il corpo sotto il ricatto della sua pistola». 
Di ritorno da Malta vi fidanzate, a un certo punto c’è aria di crisi, vi lasciate. Lei va in Argentina per stare sola. Lui vola a riprendersela, le chiede di sposarlo. Come è andata a finire lo sappiamo tutti, ma che cos’era successo? Qualcuno ha dato la colpa agli otto anni in meno che ha Nicolas: la differenza di età è davvero una minaccia? 
«Non può e non deve essere un limite. Se uno non è maturo a 20 anni, probabilmente non lo sarà neanche a 50. L’amore, se amore è, per sua natura va oltre le differenze, tutte: di anni, sesso, colore, religione. E lo dico da cattolica convinta. Davanti a un amico omosessuale che in America sta crescendo meravigliosamente una bambina voluta e avuta da genitore unico, rimango stupita di quanto bello possa essere, e con diritto assoluto di rispetto. Ci chiameranno “strani”. Saremo soprattutto radiosi».
Perché le nozze lontano, a Mykonos? 
«In Grecia, e in un matrimonio con pochi invitati amici, speravamo in un po’ di silenzio. Invece le pubblicazioni del Comune ci hanno giocato un brutto scherzo, non eravamo più soli come avremmo voluto, e le foto amatoriali dell’interno della chiesa sono finite sulle copertine, senza rispetto». 
Che cosa cambia «da sposati»? 
«La sensazione di appartenenza, non all’altro, ma a una Spa, una società per amore, una promessa d’intenzioni che è come una lunga nuotata a due verso una stessa sponda. I miei genitori nuotano insieme da oltre 40 anni». 


L'intervista completa sul numero 26 di Vanity Fair in edicola da mercoledì 26 giugno 2013.





Commenti