Ligabue si racconta: «L'amore e la disperazione»

Una ragazza con un bambino in braccio salta sul palco, tirata su dalla security, e riesce a lasciare l'auditorium da un'uscita sul retro. Gli altri in prima fila rimangono schiacciati contro il palco dalla folla di tutti quelli dietro, corsi in avanti a caccia di autografi. Fuori ci sono persino i poliziotti in tenuta antisommossa (oltre a centinaia di fan delusi che non hanno trovato posto). Lui, Ligabue, non ha cantato nemmeno una nota: il suo incontro al Salone del Libro di Torino è stato tutto dedicato al suo Rumore dei baci a vuoto (Einaudi), i 13 racconti della sua terza raccolta, appena uscita. Eppure l'effetto «pellegrinaggio alla Mecca» non è mancato.

Camiciotto grigio fango, jeans, stivaletti neri e sguardo basso, «perché anche se mi piace stare sul palco sono un timido», spiega al suo intervistatore Ernesto Franco, di Einaudi. Applausi. «Di me si dice anche che sono riservatissimo, e forse è una questione di carattere. Ma di me, nei libri e nelle canzoni, racconto tantissimo». Già, ma cosa? Nei racconti il filo rosso autobiografico c'è, spiega lui. Ad esempio c'è «il senso di colpa fortissimo per il successo. Quando mi è arrivato addosso, con Buon Compleanno Elvis, non so spiegare perché: ma ho dovuto esorcizzarlo con un album seguente che era il suo contrario, Miss Mondo, che raccontava il fatto che il successo non è il nirvana occidentale come ci dicono, non fa diventare felici, non risolve i problemi». Come in La puzza non passa, il quarto della raccolta. C'è l'amore: quello sparito di famiglie «come i miei genitori, due persone molto semplici che sono riuscite a stare insieme per tutta la vita, e sono storie così rare che vanno raccontate». E quello divorato dall'interno di coppie come Le ragioni del silenzio, «in cui un uomo e una donna che non riescono ad avere figli si tradiscono per evadere». E c'è «la difficoltà che abbiamo a essere noi stessi, in confronto alla naturalezza degli animali che popolano il libro»: cani, gatti, formiche.

All'inizio dell'incontro l'editore ha chiesto al pubblico di scrivere su foglietti qualche domanda. Sul palco ne arriva una risma, e l'intervistatore li scarta uno a uno: la maggioranza contiene proposte indecenti. Restano superstiti: «Ci firmi il libro?» «Ci sposi? Siamo in tre». «A che età hai avuto la tua prima volta?» A questo Liga risponde: «Intendevi nella scrittura, vero? Beh, diciamo allora che ho scritto la mia prima cosa a quindici anni». Risate. Applausi.


 Arriva una domanda «seria»: «Come cambia l'amore ai tempi della crisi?» E a rispondere è il Ligabue più guru: «E' un paese depresso, siamo tutti in ansia e questo si riflette nei rapporti tra di noi. Perché dobbiamo essere in ansia per cose che non siamo tenuti a sapere, come la differenza tra i buoni del tesoro tedeschi e i nostri? E l'amore non è una chiave che scardina tute le preoccupazioni. I suicidi che vediamo quotidianamente sono lo specchio di una disperazione incapace di farsi toccare da qualunque forma di amore. Ricette facili non ce ne sono, e a rischio di essere banale direi che parte tutto dalla speranza. La parola più uncool che c'è».

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