Il cantante torna, dopo due anni di silenzio, con un nuovo album e racconta: «Non riuscivo più a vivere bene. Mi vedevo ovunque e provavo come un'asfissia, una nausea»
«Mamma aveva 26 anni, quanti ne ho io ora, e la domenica mattina mi portava a messa. Partivamo da casa di buon’ora e ci fermavamo a prendere una pastarella: mi piaceva cantare nel coro con in bocca il sapore di zucchero a velo e crema, e sognavo lo Zecchino d’oro. Di lì a poco, lei sarebbe morta».
È un paio d’anni che Marco Carta non si vede in giro, né in Tv. A 23 anni vince Amici, nel 2009 Sanremo. È il primo di «quelli dei talent» a trionfare all’Ariston, i dischi si fanno d’oro, e di platino. Poi, d’improvviso, ha avuto bisogno di silenzio. Sul perché è sparito c’entrano «uno squarcio», e «un bagliore».
Lo squarcio è quello che «lascia una mamma quando va via troppo presto: non c’è niente da fare, sta lì nello stomaco, non si riassorbe». Il bagliore è quello «di un successo che arriva e di colpo, e da cui a un certo punto serve riparo». «Non riuscivo più a vivere bene. Mi vedevo ovunque. Mi specchiavo, in bagno, e provavo come un’asfissia, una nausea. Mi dicevo: “Ancora tu?”».
E così si è fermato.
«Non riuscivo neanche a trovare un paio di giorni per andare ad abbracciare mia nonna in Sardegna. Ero pieno di domande. Avevo bisogno di risposte».
«C’è stato qualche graffio, qualche collanina strappata. Baci e carezze memorabili. Pure delle mamme. Fino ad allora non mi aveva mai disturbato, a un certo punto ho sentito la claustrofobia».
Ha chiesto aiuto a un analista?
«No. Sapevo di dovere ascoltare solo me stesso e chi mi vuole bene».
La cura ha funzionato.
«Sì: il 10 aprile torno con un album, Necessità lunatica. Lo anticiperà il 23 marzo il singolo Mi hai guardato per caso. Racconto un’altra paura: quella di quando ci si finge indifferenti verso una persona che invece ci ha stravolto i sensi. Terrorizzati dall’idea di non essere ricambiati».
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