Francesca Rettondini a" VANITYFAIR" racconta i ricordi di quel tragico naufragio della Costa Concordia

Piergiorgio Pirrone - LaPresseFrancesca Rettondini. Intervistata da Vanity Fair, ricorda il naufragio della Costa Concordia e il passato con Alberto Castagna (Piergiorgio Pirrone - LaPresse)

«Non è un freddo normale quello per cui tremi sul ponte di una nave da crociera in gennaio, ed è notte, tu sei in sandali e canottiera perché dentro la sala ristorante era caldo, e non pensavi ti sarebbero toccati il rumore sinistro e i piatti rovesciati addosso, la luce saltata, la corsa al buio, tra le urla, su un pavimento inclinato di vetri rotti, spumante e salsedine, il salvagente da stringerti, le sgomitate per la scialuppa da non perdere».

È passato un mese dal naufragio della Costa Concordia e Francesca Rettondini una volta a settimana va da un analista. L’attrice e conduttrice Tv era l’unica passeggera «famosa» di quella navigazione. A bordo con lei, c’era il compagno Gian Saverio, il primo uomo importante dopo la morte di Alberto Castagna nel 2005. E c’erano le 150 persone di Professione Lookmaker, un talent show che Francesca avrebbe condotto per Sky: in crociera,doveva fare la selezione finale dei concorrenti.

Che cosa ricorda dell’incidente?

«Era la mia prima crociera. Tra ascensori di cristallo, moquette, cinema e casinò, mi sentivo Alice nel Paese delle meraviglie. Alle 21 eravamo a cena. D’improvviso, un botto. Volano le portate, le sedie, cadono le persone. Si sente il raschiare dello scafo contro qualcosa, in una manovra disperata per disincagliarsi. Subito arriva il blackout».

Poi?

«Poi si fugge, tutti, impazziti di paura, in direzioni opposte, accalcandosi l’uno sull’altro. Il mio compagno mi teneva la mano: “Non ti fermare”. Una signora mi sanguinava a fianco. Fuori, lo stupore: le luci dell’isola erano vicinissime. Siamo stati un’ora al gelo, mentre la nave s’inclinava. Temevo che affondasse, che esplodesse. Ho pensato anche di buttarmi in acqua da 40 metri d’altezza, nonostante gli scogli. Chi l’ha fatto non è più tornato, o è rimasto paralizzato».

In chi resta che cosa succede, dentro?

«Il gelo provato su quel ponte non se ne va. In Tv c’è la storia del comandante, della moldava, del disastro ambientale. E tu ti senti come in una dimensione ovattata. Pensi a chi era con te e non ce l’ha fatta. Non riesci più a chiudere gli occhi, a dormire, il trauma ti travolge dopo, tutto insieme. Hai il fiato corto. Prendi gli ansiolitici. Passa la fame».

Altri sintomi?

«Capita che barcolli mentre cammino. Mi fa paura tutto: posso sobbalzare anche per la cenere di una sigaretta che cade. Non vorrei più prendere aerei, treni, auto. Ho sfoghi sulla pelle. Secondo il neuropsichiatra da cui sono in cura, è normale dopo uno choc così forte».

Quante volte ci va?

«Una a settimana. E chissà per quanto».

Quanto spende?

«200 euro la prima seduta, 120 dalla seconda in avanti».

Sa di traumi di altri passeggeri?

«Una signora che era con me non va più in luoghi affollati: nei supermercati, in metro. Il bambino di un mio amico urla per gli incubi, quasi ogni notte. Gli hanno consigliato una terapia».

La sua come sta andando?

«Il medico mi guarda, non dice niente e mi costringe a parlare, a spiegarmi meglio. Così, arrivo a quello che ho lasciato lì, da qualche parte, dentro».

Che cos’è?

«Il passato».

Alberto Castagna?

«Sì. Ora lo ricordo con il sorriso. Come si fa a dimenticare un uomo così? Non era mai fuori posto, sbagliato».

Lei aveva 24 anni, lui il doppio...

«Per noi non c’era niente di difficile».

Lui era un uomo sposato.

«All’inizio non lo sapevo. Dopo, era troppo tardi per tornare indietro».

Commenti