Favino & C. poliziotti: che fatica diventare «bastardi» come celerini

Esce A.c.a.b. di Stefano Sollima, cronaca quotidiana dell'odio sociale visto da dietro la visiera dei poliziotti


Al boxoffice il rivale sarà il campione di incassi Usa, il nuovo capitolo di Mission ImpossibleProtocollo fantasma con l'inossidabile Tom Cruise. Ma la vera sfida di A.c.a.b.All Cops Are Bastards (acronimo del motto degli ultras, «tutti poliziotti sono bastardi»), in uscita venerdì 27 in 300 copie, è tutta italiana e molto ambiziosa: raccontare la realtà dei poliziotti, quelli del reparto celere, quelli in prima linea nella strade e nelle polemiche. L'odio sociale «visto da dietro i caschi dei poliziotti». «Un poliziesco, come quelli degli anni '70, intrattenimento intelligente», vola basso il regista Stefano Sollima, debuttante dal passato che pesa (sua la versione tv di Romanzo criminale). Più esplicito Pierfrancesco Favino che nel film - tratto dal romanzo del giornalista Carlo Bonini che ha preferito non partecipare alla realizzazione - è Cobra, poliziotto dal cuore nerissimo, uno dei tre «celerini bastardi», gente abituata a un contatto quotidiano con la violenza. «Ancora prima dell'uscita di A.c.a.b. su Internet si stanno scaldando le tifoserie, chi sta con i poliziotti e chi contro. Il film evita prese di pozione ma ha un atteggiamento morale, che non è una parolaccia. Moralismo sarebbe raccontare dicendo "guarda come sono brutti", morale è provare a far vedere come sono».
 Come dire, è una storia che ci riguarda tutti, non solo perché il film fa più di un riferimento diretto a fatti reali - il G8 di Genova, la morte brutale di Giovanna Reggiani, l'uccisione dell'ispettore Filippo Raciti e quella del tifoso laziale Gabriele Sandri - ma perché insiste sulla quotidianità: il servizio d'ordine negli stadi, gli sgomberi di campi nomadi, i presidi con caschi e scudi durante le manifestazioni. «Moralismo sarebbe quello di noi borghesi che continuiamo a credere che queste cose riguardino solo il reparto celere, consentire a queste frange la rappresentazione della violenza per perdonarci. La chiave del film è che non giudica. Dov'è il bene, dov'è il male? Tutti hanno un destino segnato» continua Favino.


«CORRETTA DISTANZA» - Tutto molto realistico, dunque. E se la rete già si divide, come ricorda Favino, da parte della Polizia di Stato, per ora, tutto tace.

 Né supporto né ostilità. «Non hanno messo a disposizione forze o caserma ma in nessun modo ci hanno ostacolato», dice Sollima. «Un atteggiamento di corretta distanza. Il film è stato visto da vari esponenti della polizia, con reazioni personali. Non so se ci sarà una reazione ufficiale».
PREGIUDIZI - Di poliziotti gli attori - Filippo Nigro (Negro) e Marco Giallini (Mazinga), Andrea Sartoretti (Carletto), Domenico Diele (Adriano) - ne hanno incontrati molti, raccontano. E' stato duro per tutti, ammettono, calarsi nei loro panni. «Un film così mette alla prova i tuoi pregiudizi. Ti puoi dichiarare pacifista essere certo di esserlo, fino a che qualcuno non ti viene a bussare alla porta e ti mette alla prova» insiste Favino. «Io di pregiudizi nei riguardi dei celerini ne avevo e non ero l'unico», ammette Nigro. «Si tratta di gente abituata a usare la violenza se necessario, e i limiti entro i quali lo fa a volte sono poco chiari. Capita, come nel film, che si costruiscano un senso di stato tutto loro». Come quanto organizzano spedizioni punitive a suon di botte, contro i nemici di turno, e si coprono tra di loro, magari appoggiandosi a chi, come il personaggio di Andrea Sartoretti, è uscito dalla polizia ma non dal gruppo. «Io sono un ex celerino, girando il film ho percepito la tensione che molti di loro vivono: sono pagati per vivere una guerra civile quotidiana». Smorza i toni Marco Giallini, un convincente Mazinga, moglie poliziotta, figlio adolescente che bazzica dalle parti di Casapound: «Personaggi duri sì, anche in famiglia. Ma non è stato troppo difficile. Non voglio fare il Mickey Rourke».

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